Kanye West torna protagonista sullo schermo con In Whose Name?, documentario diretto da Nico Ballesteros che svela i lati più intimi, controversi e contraddittori del rapper. Sei anni di riprese mostrano Ye tra momenti di genialità creativa, crisi personali, svolte religiose e scandali che hanno ridefinito la sua carriera e la sua immagine pubblica.
Dalle radici di Chicago all’ascesa mondiale
Il viaggio parte da Chicago, città natale di Kanye, con immagini intime nella casa d’infanzia, segnata dal ricordo della madre Donda. Ballesteros ricostruisce poi i momenti chiave della carriera: dal famigerato scontro con Taylor Swift agli MTV VMAs del 2009 al trionfo con Runaway nel 2010, simbolo di My Beautiful Dark Twisted Fantasy.
Accanto alla musica, emerge anche l’impero commerciale costruito con Nike e Adidas, che ha reso Kanye miliardario, fino al collasso delle collaborazioni sotto il peso delle sue provocazioni pubbliche.
L’apparato della celebrità e le fughe religiose
Alcune delle sequenze più suggestive del film mostrano Kanye immerso nell’apparato della celebrità che dice di voler fuggire, ma che gli permette di sedere accanto a figure come James Turrell, l’artista del Roden Crater a cui Ye ha donato 10 milioni di dollari.
È proprio con la religione che il documentario individua una delle fasi più significative della sua carriera. Il progetto Jesus Is King del 2019 e soprattutto la serie dei Sunday Service appaiono con dettagli inediti e affascinanti, restituendo un’immagine di Ye capace di trovare momentanea chiarezza nel fervore religioso, prima di ricadere nelle controversie che lo attirano inevitabilmente.
Crisi, sfoghi e fragilità
Ballesteros non nasconde i momenti di rottura. Dalla diagnosi di disturbo bipolare alle scene di rabbia incontrollata, il film ritrae Ye in episodi che oscillano tra compassione e sconcerto. Il viaggio in Uganda, segnato da scatti d’ira e tensione palpabile, diventa il simbolo della sua instabilità emotiva.
Anche nella vita domestica con i Kardashian, emergono conflitti e pressioni familiari, con richieste esplicite a tornare ai farmaci. Momenti che rivelano la precarietà di un artista sempre in bilico.

Politica, media e scandali
Il documentario affronta anche il lato politico e mediatico di Kanye. Dalla vicinanza a Trump e l’intervista con Charlie Kirk nel 2018, fino all’amicizia con Candace Owens, Ye ha legato il suo nome a figure centrali della destra americana.
Un passaggio fondamentale riguarda la polemica della maglietta “White Lives Matter”, che ha innescato una catena di scandali e rotture professionali. Col senno di poi, il film mostra come molti dei peggiori impulsi di Ye siano stati alimentati dalla gratificazione istantanea dei social e dall’eco mediatico delle sue provocazioni.
Curiosamente, In Whose Name? sceglie di non soffermarsi sulle dichiarazioni antisemite più controverse, concentrandosi invece sulle reazioni di Ye al contraccolpo subito, tra sfoghi e nuove cadute.
Un ritratto crudo di un’icona contemporanea
Il documentario diventa così non solo un ritratto di Kanye West, ma anche una critica al funzionamento dei media e alla cultura dei social. Ye appare come un uomo in costante conflitto con se stesso, diviso tra genialità creativa, fede religiosa e derive autodistruttive.
Eppure, nonostante scandali, crisi e cadute di immagine, continua a esibirsi, a vendere e a restare parte integrante del mainstream. Il film non dà risposte definitive: si ferma un passo prima di una conclusione, lasciando allo spettatore il compito di riflettere su un artista che incarna tutte le contraddizioni della nostra epoca.
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