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L’artista vincitrice dell’Oram Award, Helen Anahita Wilson, ha sorpreso la scena della musica elettronica con un nuovo album generato — letteralmente — da piante velenose e allucinogeni. In questo articolo esploriamo come si è concretizzato il progetto: dalla selezione botanica alle tecniche sonore, passando per le motivazioni creative. Scopriremo come l’approccio sperimentale dell’artista unisca tecnologia, biologia e narrazione musicale in modo inedito.

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La genesi del progetto: piante velenose e allucinogeni

Helen Anahita Wilson racconta che l’idea è nata da una lettura sul confine sottile fra natura, sostanze psicotrope e percezione del suono. Le piante velenose, in particolare, hanno un potere simbolico forte: rappresentano la bellezza ambigua, il pericolo latente, la trasformazione. Allo stesso modo, le sostanze allucinogene — nel loro contesto storico-culturale — evocano visioni alternative, alterazione sensoriale, introspezione. L’artista ha scelto volontariamente di combinare questi elementi per «sonorizzare l’inaspettato», ovvero trasformare in suono i materiali che normalmente sarebbero esclusi dalla musica mainstream. Il risultato è un album che suona come un viaggio intenso, quasi rituale.

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Tecnica: come trasformare piante e sostanze in suono

Raccolta e preparazione

La prima fase ha visto Helen collaborare con botanici e ricercatori per selezionare specie vegetali con proprietà tossiche o psicotrope. Non per promuoverne l’uso, ma per isolarne le «impronte» sonore: ad esempio, la reazione chimica di certe piante al taglio, al calore o alla decomposizione, è stata registrata come suono grezzo.

Conversione in dati sonori

Helen e il suo team hanno usato microfoni ad alta sensibilità e sensori biometrici per catturare vibrazioni, micro-movimenti, cambiamenti chimici invisibili all’orecchio umano. Queste registrazioni sono state convertite in dati digitali che poi venivano «mappati» a parametri sonori: pitch, timbro, durata. In pratica, le piante hanno «suonato» indirettamente: le registrazioni sono state trattate come materiali grezzi per il sintetizzatore.

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Creazione del paesaggio sonoro

Una volta ottenuti i campioni, l’artista ha costruito composizioni utilizzando strumenti elettronici, sequencer modulari e software per manipolare il suono. Il risultato è una struttura musicale che mantiene un legame sottile con la fonte biologica — certi suoni sembrano respirare, pulsare, mutare — ma che è stata modellata in un contesto musicale. È come se le piante avessero suggerito una partitura, e Helen l’avesse orchestrata.

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Temi e significati: oltre il suono

Questo progetto non è solo un esperimento tecnico, ma porta con sé riflessioni profonde. Helen parla di rischio, fragilità, mutazione: le piante velenose sono simbolo di ciò che attrae e minaccia allo stesso tempo. Gli allucinogeni evocano l’idea di percorsi interiori non convenzionali, sfuggenti, che richiedono una certa vulnerabilità.

Nella musica elettronica contemporanea, spesso si privilegiano la pulizia, la precisione, la prevedibilità. Helen ribalta questo paradigma: abbraccia l’imprevedibile, l’instabile, la contaminazione fra arte e scienza. In questo senso, l’album può essere considerato un racconto sonoro di metamorfosi — della pianta, dell’ascoltatore, dell’artista.

Impatto e contesto nell’ecosistema musicale

Nel panorama della musica sperimentale e elettronica, progetti come questo si inseriscono in una tradizione che unisce arte e ricerca. L’uso di suoni non convenzionali — field recordings, biometria, processi naturali — è in crescita, ma Helen lo porta a un livello ulteriore grazie anche al concetto: una pianta, una sostanza, un suono. Il riconoscimento da parte dell’Oram Award testimonia la rilevanza dell’approccio: è segno che l’innovazione sonora viene premiata nella comunità musicale.

Per gli appassionati di tecnologia musicale, diventa interessante capire come strumenti tradizionali (sintetizzatori, sequencer) si fondono con acquisizione sonora sperimentale per dare vita a nuove estetiche. Per esempio, se sei un produttore elettronico interessato a “fuori dal coro”, l’esperienza di Helen può diventare fonte di ispirazione: pensa a come potresti registrare suoni ambientali insoliti, convertirli e farli vivere in una traccia.

Conclusioni

Il progetto di Helen Anahita Wilson dimostra che la sperimentazione sonora può travalicare i confini tradizionali della musica elettronica. Le piante velenose e gli allucinogeni — più che essere semplici “fonti” — diventano elementi narrativi e estetici, che stimolano riflessioni su natura, percezione, trasformazione. Per chi ama gli strumenti musicali e la tecnologia, è una lezione: l’innovazione può venire non solo da nuovi sintetizzatori o plug-in, ma dal modo in cui ascolti e trasformi il mondo attorno a te.

Ti invito a lasciare un commento: ti affascina questo tipo di sperimentazione? Hai mai pensato di usare suoni naturali “estranei” nella tua musica? E se sì, quale sarebbe il tuo progetto? Se ti va, condividi questo articolo con chi nel tuo network ama la musica elettronica e la tecnologia. Buona creazione!

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Susanna Staiano
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