a cura di Francesco Di Mauro | Tempo di lettura approssimativo: 8 minuti
Stevie Ray Vaughan: 35 anni dopo è ancora il re del Texas blues

Stevie Ray Vaughan: 35 anni dopo è ancora il re del Texas blues  ·  Fonte: Passione Strumenti

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Sono passati 35 anni dalla scomparsa di Stevie Ray Vaughan, eppure il suo impatto sul blues moderno non mostra segni di cedimento. Chitarrista, cantante e compositore texano, Stevie ha lasciato un’impronta indelebile nel mondo della musica. Il suo suono, il suo fraseggio, la sua attitudine sul palco e la sua dedizione assoluta al blues lo rendono ancora oggi una figura di riferimento per generazioni di chitarristi.

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La sua carriera, sebbene interrotta prematuramente, ha definito nuovi standard sonori e tecnici nel panorama elettrico moderno. Questo articolo ripercorre la sua storia, esplora la sua attrezzatura e analizza i brani che ancora oggi risuonano con forza.

La storia di Stevie Ray Vaughan in 3 tappe

1954-1982: gli inizi a Dallas e l’incontro con i Double Trouble

Stevie Ray Vaughan nasce il 3 ottobre 1954 a Dallas, Texas. Già da piccolo si appassiona alla chitarra grazie all’influenza del fratello maggiore Jimmie Vaughan. Cresce ascoltando Albert King, Freddie King e Jimi Hendrix, ma è con l’anima texana del blues che sente di avere un legame profondo.

Negli anni ’70 si fa notare nella scena locale con vari progetti fino a fondare i Triple Threat Revue, da cui nasceranno i leggendari Double Trouble con Chris Layton alla batteria e Tommy Shannon al basso. L’alchimia è potente, e il gruppo diventa presto un punto di riferimento nel circuito live texano.

Un momento chiave arriva nel 1982: David Bowie lo nota e lo chiama a registrare le parti di chitarra per “Let’s Dance“. Successivamente Bowie propone a SRV anche di partecipare al tour ma quest’ultimo rifiuta per concentrarsi sul proprio album. Una scelta coraggiosa che cambierà la storia.

Legato a questo storia, c’è anche un altro aneddoto che vale la pena ricordare: il suono di Stevie in “Let’s Dance” colpì anche Eric Clapton che ascoltò il brano quasi per sbaglio mentre era alla guida. Di seguito le parole di Mr. slowhand che rafforzano ancora di più l’iconicità di SRV!

“Stavo guidando e alla radio passarono “Let’s Dance”. Ho fermato la macchina e ho detto: <<Devo sapere chi è questo chitarrista oggi. Non domani, ma oggi>>. Mi è successo solo tre o quattro volte, e probabilmente non mi è successo con nessuno dopo Duane Allman e Stevie.”

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1983-1989: Texas Flood, lo Strat-tone che cambiò il blues

Nel 1983 esce “Texas Flood“, disco d’esordio che deflagra come una bomba nel panorama musicale. Registrato in soli tre giorni, contiene classici come “Pride and Joy” e “Love Struck Baby“. La critica lo acclama come l’erede legittimo di Hendrix, ma con una voce nuova, radicata nel Texas blues.

Il suo stile è un mix di tecnica ferina e groove viscerale. Non si tratta solo di virtuosismo: SRV canta con la chitarra, e ogni nota trasuda feeling.

Seguono album come “Couldn’t Stand the Weather” (1984) e “Soul to Soul” (1985), che consolidano la sua reputazione. Nel frattempo affronta un periodo buio tra dipendenze e stress da tour, ma ne esce nel 1986 grazie a un percorso di disintossicazione che lui stesso descriverà come una rinascita.

Nel 1989 pubblica con il fratello Jimmie “Family Style“, disco più funk-oriented, testimonianza di un momento sereno e creativo.

1990 e oltre: eredità e influenza sui chitarristi moderni

Il 27 agosto 1990, dopo un live con Eric Clapton in Wisconsin, Stevie sale a bordo di un elicottero che si schianta poco dopo il decollo. Aveva solo 35 anni.

Da allora il suo mito cresce. La sua influenza si estende ben oltre il blues: chitarristi come John Mayer, Kenny Wayne Shepherd, Philip Sayce e Joe Bonamassa hanno citato SRV come modello imprescindibile.

Il suo stile è diventato una grammatica a sé: bending al limite, uso massiccio del vibrato, dinamiche esasperate e quel suono Stratocaster carico di medie, spesso spinto da un Tube Screamer. Ancora oggi rappresenta un riferimento sonoro ed espressivo per generazioni di chitarristi.

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SRV Gear Corner: chitarre, ampli & pedali

La “Number One” Stratocaster

La sua chitarra più iconica è la “Number One”, una Fender Stratocaster del 1963 assemblata con componenti del ’62 e ’59. Il manico in acero e i tasti jumbo favorivano uno stile aggressivo, mentre i pick-up single coil, sovravvolti, offrivano un output potente e medie frequenze in evidenza.

Stevie Ray Vaughan montava corde estremamente spesse, spesso da .013 a .058, con action alta per garantire sustain e risposta dinamica. Il ponte tremolo era usato pesantemente per vibrati profondi, ed era stato potenziato con un blocco in acciaio massiccio. Il tecnico Rene Martinez curava ogni dettaglio del setup, con un’attenzione maniacale.

Girano racconti per cui SRV fosse solito mettere della supercolla sui polpastrelli della mano sinistra per poter suonare anche a lungo con una scalatura di corde così importante!

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Fender Stevie Ray Vaughan
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Come settare amps & pedali per il “Texas shuffle” sound

Il suono di Stevie nasceva da una combinazione di pochi elementi essenziali. Utilizzava amplificatori Fender come i Vibroverb con cono da 15″ e i Super Reverb, regolati con il volume quasi al limite del breakup e con le medie molto pronunciate. Per un periodo ha usato anche un Marshall Major come amplificatore per poi passare ai mitici Dumble.

Il pedale chiave era l’Ibanez Tube Screamer (TS-808 o TS9), usato con il gain basso e il level alto per spingere l’ingresso dell’ampli. Usava riverberi leggeri, spesso già presenti nell’amplificatore, e solo occasionalmente effetti come il wah e il fuzz, ispirati a Hendrix. Nonostante la semplicità della catena, il suono era unico grazie al suo tocco.

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Ibanez TS9
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Ibanez TS808
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Top 5 brani di  Stevie Ray Vaughan da riascoltare nel 2025

Texas Flood 

La cover di “Texas Flood” (originariamente di Larry Davis, 1958) è una dei brani più iconici di Stevie, presente nell’album Texas Flood del 1983. Vaughan ne allunga la struttura, aggiungendo lunghissimi assoli elettrici carichi di pathos e feeling espressivo. Accorda la chitarra un semitono più in basso (come in gran parte delle sue registrazioni e live), donando un tono più denso e cupo, perfetto per evocare l’emergenza emotiva del brano. La sua versione è riconosciuta tra le “100 Greatest Guitar Songs of All Time” di Rolling Stone.

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Lenny 

Lenny” è un’intensa ballad strumentale dedicata a Lenora (“Lenny”), moglie di Vaughan. Registrata a novembre 1982 e pubblicata a giugno 1983, è caratterizzata da arpeggi dolci, uso modulato del tremolo, vibrazioni eleganti e passaggi che sfumano tra la scala maggiore e la pentatonica minore. Il suono ricorda ballad di Hendrix come “The Wind Cries Mary”. Nonostante la semplicità apparente, il brano rivela una sensibilità rara, capace di esprimere amore e malinconia in modo autentico

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Scuttle Buttin’

Strumentale veloce e adrenalinico, “Scuttle Buttin’” apre Couldn’t Stand the Weather (1984). È un brano virtuosistico che mischia country-blues a ritmiche serrate. Mentre si ispira a Lonnie Mack e Lightning Hopkins, Vaughan lo rende totalmente personale, grazie a double stops, slide e fraseggi violentissimi. È diventato spesso opener live: una vera dichiarazione d’intenti tanto che MusicRadar lo definisce “stinging statement of intent”!

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Life Without You

Life Without You” è una traccia meno nota ma profondamente emotiva e intensa. Molti fan la citano per la forza espressiva contenuta nelle corde gravi e il fraseggio appassionato. È una ballad che unisce delicatezza e pathos: un testamento personale al rinnovamento interiore di SRV, nato durante il suo percorso di disintossicazione e rinascita, e tuttora un momento autentico e toccante della sua discografia .

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Rude Mood

Brano elettrico e selvaggio, “Rude Mood” (1983) è un blues shuffle fortemente ritmato a 264 bpm, tratto dall’album Texas Flood. Ha addirittura ricevuto una nomination al Grammy per il miglior brano strumentale rock nel 1984. Stevie lo definiva un omaggio al country-blues di Lightnin’ Hopkins (“Hopkins’ Sky Hop”), ma la sua resa è completamente esplosiva: velocità, precisione, swing e groove si fondono in un trittico irresistibile che dimostra quanto SRV reinterpretasse le radici con il massimo della sua energia

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SRV: una leggenda intramontabile

Stevie Ray Vaughan non è stato solo un chitarrista: è stato un ponte tra passato e futuro, tra tradizione e rivoluzione. La sua musica ci ricorda quanto una nota, suonata con cuore e verità, possa toccare le profondità dell’anima.

A 35 anni dalla sua scomparsa, il suo suono è ancora lì, tra le corde delle Stratocaster di chi lo emula, tra le lacrime di chi lo ascolta in cuffia, tra le emozioni di ogni chitarrista che impara il blues partendo da lui. SRV non è soltanto una leggenda: è un sentimento che continua a vibrare.

Qual è il brano di Stevie Ray Vaughan che ti ha lasciato un segno nel cuore? Condividilo con noi nei commenti: ogni nota è un ricordo che merita di essere risuonato.

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