I Beatles non erano infallibili: i loro 10 peggiori disastri musicali!
Anche i più grandi sbagliano. E quando parliamo dei Beatles, spesso tendiamo a mitizzare ogni nota, ogni testo, ogni improvvisazione. Ma la verità è che anche il quartetto di Liverpool ha firmato dei momenti discutibili. In questo articolo analizziamo le canzoni peggiori dei Beatles, tra esperimenti poco riusciti, cover evitabili e brani che i fan stessi faticano a difendere. Non per distruggere il mito, ma per raccontare l’altra faccia di una delle band più amate di sempre.
Partiamo!
“Boys”: l’equivoco sonoro di Ringo
Il primo vero inciampo arriva già nel loro album d’esordio Please Please Me. Il brano “Boys”, cantato da Ringo Starr, è una cover del successo anni ’60 delle Shirelles. Ma la reinterpretazione perde tutto il senso dell’originale. Una voce maschile che celebra quanto siano “fantastici i ragazzi” suona strana, e anche se l’intenzione non era certo provocatoria, il risultato appare oggi goffo e datato. La performance vocale di Ringo è piena di entusiasmo, ma risulta tecnicamente debole. Il brano sembra un corpo estraneo rispetto al resto dell’album, energico e fresco.
“Within You Without You”: spiritualità indigesta
George Harrison cercò di portare la musica indiana all’interno del pop occidentale, ma “Within You Without You” è probabilmente il brano meno accessibile di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band. Composto dopo un lungo soggiorno in India, il pezzo fonde sitar e tambura con testi di stampo filosofico. Il problema è che la traccia interrompe il ritmo dell’album, isolandosi sonoramente e tematicamente. Per molti ascoltatori, non è un viaggio mistico ma un intermezzo faticoso e quasi predicatorio. Un pezzo più apprezzato per l’intento che per il piacere d’ascolto.
“Dig It”: non-canzone per eccellenza
Presente su Let It Be, “Dig It” dura meno di un minuto. Eppure, nonostante la brevità, è spesso citata come una delle canzoni peggiori dei Beatles. Non c’è struttura, non c’è melodia, non c’è coerenza. Lennon improvvisa nomi e frasi a caso, mentre la band lo accompagna svogliatamente. Era parte di una jam session molto più lunga, poi tagliata per l’album. Paul McCartney decise di escluderla dalla versione Let It Be… Naked, a conferma che nemmeno la band credeva nel valore del brano. È uno dei momenti più trascurabili dell’intero catalogo.




“Good Night”: il Disney moment di fine album
“Good Night”, affidata alla voce di Ringo ma scritta da Lennon, chiude il White Album con un tono che lascia spiazzati. L’arrangiamento orchestrale sembra uscito da un film d’animazione anni ’40, con cori da favola e una dolcezza che rasenta il melenso. Dopo brani spigolosi come “Helter Skelter”, questa chiusura pare quasi ironica. Ma non lo è. Il contrasto è tale che molti fan lo considerano un errore di posizionamento, se non addirittura un momento da dimenticare. La ballata manca di quella sincerità emotiva che ha reso immortali altri lenti firmati Beatles.


“Dizzy Miss Lizzy”: una cover superflua
Inserita nel disco Help!, “Dizzy Miss Lizzy” è una delle ultime cover registrate dalla band. L’energia grezza c’è, ma il brano non aggiunge nulla di nuovo all’originale di Larry Williams. Il riff si ripete ossessivamente e la voce di Lennon appare forzata. È un riempitivo, una scelta che stride con l’evoluzione creativa che i Beatles stavano già sperimentando in studio. Guardandolo oggi, è uno di quei pezzi che avrebbero potuto tranquillamente restare inediti.
“Ob-La-Di, Ob-La-Da”: Paul vs il resto del mondo
Paul McCartney voleva un brano ska, leggero e allegro. Il risultato fu “Ob-La-Di, Ob-La-Da”, una delle canzoni più odiate dagli stessi Beatles. Lennon la chiamava “musica da nonna” e George Harrison detestava l’intero processo di registrazione. Il tecnico del suono Geoff Emerick lasciò lo studio, esasperato dai continui rifacimenti. Eppure il brano resta popolare, forse per la sua melodia orecchiabile. Ma il giudizio è impietoso: secondo una votazione BBC del 2004, è la peggiore canzone mai scritta. Una pietra miliare, ma nel senso sbagliato.


“Maggie Mae”: 38 secondi di nulla
In Let It Be, “Maggie Mae” sembra una traccia dimenticata su nastro per sbaglio. Un folk tradizionale di Liverpool reso in chiave semi-ironica, che dura meno di quaranta secondi. Non è offensivo, ma nemmeno interessante. Non racconta nulla, non ha dinamica, non ha vera direzione. È uno scherzo interno, forse un momento di leggerezza. Ma in un disco già travagliato, appare come un’aggiunta superflua che spezza il ritmo in modo gratuito.
“Mr. Moonlight”: quando il vintage diventa trash
“Mr. Moonlight”, incluso in Beatles for Sale, è una cover che invecchia male. Il brano inizia con un’entrata vocale esagerata di Lennon, quasi grottesca. L’organo che accompagna il pezzo sembra preso da un circo, e il ritmo è tanto rigido quanto datato. In un album che contiene perle come “I’m a Loser”, questa scelta appare anacronistica e fuori tono. Ancora oggi viene ricordato come uno dei momenti meno ispirati del periodo “pre-svolta” dei Beatles.
“Good Day Sunshine”: troppo zucchero in Revolver
Revolver è considerato un capolavoro. Ma “Good Day Sunshine” rappresenta una caduta di stile. McCartney indulge in un ottimismo esasperato, con un pianoforte ripetitivo e testi che sembrano usciti da un jingle pubblicitario. Il problema non è tanto la melodia, quanto il contrasto con gli altri brani: mentre la band esplora psichedelia e sperimentazione sonora, questa canzone sembra scritta per un musical per bambini. Troppo leggera, troppo semplice, troppo fuori contesto.
“Wild Honey Pie”: caos senza scopo
“Wild Honey Pie” è uno dei brani più brevi e più criticati del White Album. Registrato da Paul in solitaria, suona come un gioco da studio lasciato lì per caso. Rumori stridenti, voce distorta, assenza totale di sviluppo armonico o narrativo. È il classico esempio di esperimento che avrebbe potuto restare inedito. E lo stesso McCartney, in seguito, ammise che non avrebbe dovuto essere incluso nel disco. Il vantaggio? Dura appena 52 secondi.
Conclusione: quando anche i Beatles sbagliano
Analizzare le canzoni peggiori dei Beatles non significa screditarne il genio. Anzi, mostra quanto la loro discografia sia umana, sfaccettata, viva. I momenti meno riusciti esistono proprio perché la band ha osato, ha sperimentato, ha corso rischi. E in un catalogo così vasto, anche gli errori diventano parte della leggenda. Tu quale di questi brani salteresti sempre a piè pari? Raccontacelo nei commenti o sul nostro profilo Instagram. E se vuoi approfondire altri aspetti meno noti della storia dei Beatles, continua a seguirci su Passione Strumenti.
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