Negli ultimi mesi il mondo della musica internazionale si è mobilitato in maniera sempre più decisa per chiedere un cessate il fuoco a Gaza e per denunciare il legame tra le grandi piattaforme e l’industria bellica. Da icone come Brian Eno e Roger Waters fino a nomi della scena attuale come Piero Pelù, Mannarino e ora i Massive Attack, sono decine gli artisti che hanno aderito a campagne come Artists for Palestine UK e No Music for Genocide. Un movimento che non si limita a comunicati social, ma che sta trasformando i cataloghi musicali in un terreno di battaglia politica e culturale.
Massive Attack contro Spotify: la richiesta di rimozione
I Massive Attack hanno deciso di alzare la voce e passare ai fatti. Con un appello formale alla loro etichetta, Universal Music, il gruppo britannico ha chiesto la rimozione di tutta la propria musica da Spotify e, più in generale, di bloccarne la diffusione in Israele. Una presa di posizione dura e senza compromessi, legata al coinvolgimento diretto del CEO di Spotify, Daniel Ek, nei finanziamenti a Helsing, startup europea che sviluppa tecnologie di intelligenza artificiale applicate a droni e sistemi militari.
Il manifesto “No Music for Genocide”
La protesta dei Massive Attack rientra nell’iniziativa No Music for Genocide, una campagna che mira a geo-bloccare i cataloghi musicali in Israele per denunciare le responsabilità delle grandi aziende tech nel conflitto. “Alla luce degli investimenti significativi del Ceo di Spotify in un’azienda che produce droni militari e tecnologie AI integrate in velivoli da combattimento – hanno scritto i Massive Attack sui social – abbiamo chiesto la rimozione della nostra musica da Spotify in tutti i territori. Oggi il peso economico che grava sugli artisti è aggravato da un onere morale ed etico: i fan finanziano, senza saperlo, tecnologie letali e distopiche”.
La replica di Helsing
La risposta di Helsing non si è fatta attendere. La società ha precisato che le proprie tecnologie sono sviluppate “per la difesa europea, in particolare in Ucraina, e non a Gaza”. Inoltre ha ribadito che c’è una netta separazione tra Spotify e Helsing: “Se volete parlare dei pagamenti delle royalties, sono disponibile alla conversazione”. Un tentativo di smorzare i toni che, però, non sembra aver convinto né i Massive Attack né gli altri artisti coinvolti nelle proteste.
Il fronte degli artisti italiani
In Italia, Piero Pelù e Mannarino sono tra i musicisti che hanno manifestato pubblicamente il loro dissenso verso Daniel Ek e Spotify. Tuttavia, i loro brani restano disponibili in piattaforma: la decisione finale, infatti, spetta alle major discografiche che detengono i diritti e che, per ora, non hanno seguito la linea dura proposta dai Massive Attack. Questo evidenzia un tema cruciale: la difficoltà degli artisti di esercitare un reale controllo sul proprio catalogo in un mercato dominato da colossi come Universal, Warner e Sony.
Un dibattito destinato a crescere
La protesta dei Massive Attack non è un episodio isolato, ma parte di un’ondata globale che intreccia musica, politica e tecnologia. Il legame tra le piattaforme di streaming e l’industria della difesa apre un fronte etico complesso, in cui gli artisti cercano di far valere la propria voce per non essere complici, anche indirettamente, di conflitti armati. Nei prossimi mesi sarà interessante capire se altre band seguiranno l’esempio dei Massive Attack e se le major decideranno finalmente di ascoltare la richiesta degli artisti.
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