Ci sono concerti che diventano esperienze da ricordare, e quello dei Counting Crows all’Alcatraz di Milano è stato uno di questi. A tre anni dall’ultima volta in Italia, la band guidata da Adam Duritz ha riportato sul palco il meglio del rock americano contemporaneo, mescolando poesia, intensità e una passione che sembra non invecchiare mai.
Il pubblico milanese assiste a una vera e propria masterclass musicale: un viaggio attraverso trent’anni di carriera e oltre mezzo secolo di influenze, dal folk di Joni Mitchell al sound dei Grateful Dead, fino alla sorprendente incursione in territorio pop con una cover di Taylor Swift.
Un concerto come una lezione di storia del rock
La serata si apre con “Spaceman in Tulsa”, brano recente che subito imposta il tono: introspezione e potenza. Dopo pochi minuti arriva “Mr. Jones”, e l’Alcatraz esplode. Il celebre ritornello “Sha la la la la” viene cantato da un pubblico che sembra conoscere ogni sillaba a memoria. È una scelta coraggiosa aprire con il proprio più grande successo, ma i Counting Crows non hanno bisogno di risparmiarsi: il loro repertorio è troppo vasto, troppo vivo.
Nel mezzo del concerto, arrivano momenti che rendono chiaro il loro messaggio: suonare oggi significa rileggere la tradizione senza nostalgia. Così “Big Yellow Taxi” e “Friend of the Devil” non suonano come cover, ma come capitoli di un’unica storia americana in continua evoluzione, dove ogni brano è un tassello di un mosaico più grande.
Adam Duritz: un cantautore tra introspezione e teatro
Quando Adam Duritz si siede al piano per “With Love, From A-Z”, il tempo sembra fermarsi. Con voce roca e profonda racconta di come, un tempo, avrebbe scelto “Round Here” come la canzone della sua vita, ma oggi quella definizione appartiene al nuovo brano. La sua intensità cresce fino al momento clou del concerto: “Round Here” intrecciata a “Raining in Baltimore”.Dieci minuti di emozione pura, un viaggio recitato e cantato che trasforma il rock in racconto, e la canzone in confessione.
Pochi artisti riescono a unire introspezione e teatralità in modo così naturale. Duritz non si limita a cantare: interpreta, vive, respira ogni verso.
Quando l’America incontra l’Italia
Il momento più inatteso arriva nel finale, con “Hanginaround”. Sul palco sale Stef Burns, storico chitarrista di Vasco Rossi, e il brano si trasforma in una celebrazione collettiva. Quattro chitarre in dialogo – Burns, David “Immy” Immergluck, David Bryson e Dan Vickrey – danno vita a un muro di suono caldo e trascinante. Un gesto di apertura verso il pubblico italiano, ma anche la prova che i Counting Crows non hanno mai perso la curiosità e l’amore per la collaborazione musicale.
Il live si chiude con “Holiday in Spain”, lasciando nell’aria quella malinconia dolce che solo le grandi band sanno evocare: una sensazione di casa, di appartenenza, di verità.
Il significato di una band che non invecchia
Nel 2025 i Counting Crows non sono semplicemente una band storica: sono un linguaggio. Ogni loro concerto è una dichiarazione d’intenti contro la superficialità, un inno alla canzone scritta e suonata con onestà. Anche i brani più recenti, meno convincenti su disco, trovano dal vivo una nuova forza, restituendo autenticità al loro percorso.
E poi c’è quella voce: Adam Duritz, con la sua sensibilità e la sua capacità di raccontare la fragilità umana, rimane una delle figure più sincere e riconoscibili del panorama rock. La sua performance a Milano ne è la prova: in un mondo dominato da autotune e algoritmi, i Counting Crows ricordano che il rock non è solo musica, ma esperienza condivisa.
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