Giganti Giapponesi: storia dei sintetizzatori Roland
Dai monosynth ai modulari, dai Junos ai Jupiter, la storia dei sintetizzatori Roland raccoglie alcuni dei più famosi suoni di sintetizzatore e di batteria di tutti i tempi…
La storia dei sintetizzatori Roland
L’ultima volta su “Giganti Giapponesi” abbiamo visto come Yamaha sia passata dalla produzione di organi ad ancia alla realizzazione di alcuni dei più importanti sintetizzatori della storia. Questa volta ci concentriamo sulla Roland. C’è molto da scoprire.
Nel 1960, Ikutaro Kakehashi, tecnico riparatore di orologi di Osaka, fondò la Ace-Tone, un’azienda di strumenti musicali. Dopo aver venduto e poi rivenduto Ace-Tone a società più grandi, riducendosi a un azionista della sua stessa azienda, se ne andò, fondando la Roland Corporation nel 1972.
SH-1000: Roland entra in gara
Il primo strumento vero e proprio di Roland fu anche il suo primo sintetizzatore. L’SH-1000 uscì nel 1973 e diede inizio a una lunga serie di prodotti della linea SH. Tipico dei sintetizzatori giapponesi dell’epoca, era progettato per stare sopra un organo, con molti dei suoi controlli a sinistra della tastiera o addirittura sotto di essa. Una sorta di combinazione tra un ARP Pro Soloist e un Moog Minimoog Model-D, aveva sia delle tab per i preset sia una sezione manuale per comporre i propri suoni.
Fu proprio questa sezione manuale (cosa che Roland aggiustò nel suo seguito, l’SH-2000) che probabilmente impedì all’SH-1000 di riscuotere un grande successo in patria. I sintetizzatori erano strumenti nuovi all’epoca e la maggior parte dei musicisti voleva suoni preimpostati e comprensibili. Per gli utenti più avventurosi, tuttavia, l’SH-1000 a singolo oscillatore offriva multiple frequenze sovrapponibili (grazie ad un sistema di divisione delle frequenze simile a quello che veniva utilizzato negli organi), un filtro Ladder simil-Moog, un envelope ADSR e due LFO, oltre a rumore rosa e bianco. Un plauso a Kakehashi per aver voluto sperimentare con la sintesi quando nessuno lo faceva.
I System-100, 100m e 700: la storia modulare di Roland
Chi, al tempo, desiderava delle opzioni di sintesi serie da parte di Roland non dovette aspettare a lungo. Dopo i monosynth SH-3, SH-3A e SH-5 (dal 1973 al 1975), il 1976 vide l’uscita di due sistemi destinati a diventare storia, con un terzo in uscita nel 1979. E per sistemi intendiamo Sistemi con la S maiuscola.
Il primo fu il System-100, un pacchetto di monosynth semi-modulari che, una volta completato, comprendeva il sintetizzatore a tastiera Model-101, l’expander Model-102, il mixer Model-103 con riverbero a molla incorporato (così anni ’70!), lo step sequencer Model-104 e gli speaker Model-109. Con un aspetto più simile a un pannello di controllo di un’astronave che a un sintetizzatore e un suono assolutamente massiccio, il System-100 rappresenta un vero e proprio punto di riferimento per Roland e per i sintetizzatori analogici in generale.
Ma Roland aveva appena iniziato. Nello stesso anno debuttò anche il System-700, un vero e proprio environment modulare. Un sistema completo comprendeva nove oscillatori, un gruppo di quattro filtri, cinque VCA, quattro envelope, tre LFO, un mixer, un sequencer, un delay e un phaser. Con un prezzo che rivaleggiava con quello delle auto di lusso, ne furono venduti pochi esemplari, collocandosi saldamente nel campo degli “stili di vita dei ricchi amanti dei sintetizzatori”.
Roland non aveva finito con il modulare: tornò al System nel 1979 con il System-100M, un sintetizzatore cabinet più accessibile (ma non ancora economico) con una varietà di moduli disponibili. Tra questi, i moduli standard 112 a doppio oscillatore, 121 a doppio filtro, 130 a doppio VCA, 140 a doppio envelope e LFO e 150 a ring mod/noise/S&H. C’era anche il 110, una combo VCO/VCF/VCA. La produzione di moduli continuò fino al 1983, insieme a tastiere e cabinet amplificati. Il System-100M è ancora oggi ricercato grazie al suo suono e alle sue funzionalità superbe.
Dal JP-4 all’Alpha 1: i Jupiter e i Junos
Alla fine degli anni ’70, i tempi stavano cambiando per i sintetizzatori. Sebbene Roland avesse sempre fatto centro con una serie di prodotti eccellenti, era giunto il momento di entrare nell’universo polifonico. Il brand giapponese non solo sarebbe sopravvissuto in questo nuovo mondo, ma avrebbe prosperato. Si aprì un nuovo capitolo nella storia della Roland.
Il primo vero polifonico Roland (senza contare le string machine) fu il Jupiter-4 a quattro voci (noto anche come JP-4). Chiamato così in onore del re degli dèi romani, sarebbe diventato un nome che Roland avrebbe usato più volte per delimitare il suo synth di punta. Tuttavia, con un solo oscillatore per voce, una tastiera piccola a quattro ottave e un design adatto all’utilizzo con l’organo, il Jupiter-4 non era abbastanza regale per competere con i grandi brand americani.
L’ascesa del Jupiter
Il Jupiter-8, invece, lo era senza alcun dubbio. Presentato nel 1981, questa polibeast a otto voci aveva tutto ciò che gli appassionati di synth potevano desiderare, compresi due oscillatori per voce, un filtro commutabile a 12db/ottava o 24dB/ottava, la sincronizzazione degli oscillatori e la cross modulation . Era anche possibile dividere la tastiera, assegnando patch diverse alla parte superiore e a quella inferiore. Più che per le specifiche, il JP-8 era famoso per il suo suono, in particolare per la capacità di suonare bene in qualsiasi situazione. Divenne un must negli studi e finì in sessioni di registrazione storiche.
La linea Jupiter continuò con il Jupiter-6, un Jupiter più “economico” che in seguito trovò l’amore dei produttori di musica dance elettronica, e con il modulo MKS-80 Super Jupiter. Abbinando a quest’ultimo il programmatore opzionale MPG80, si otteneva un poli analogico di prim’ordine contenibile in un box di dimensioni rack.
Se Jupiter era il re, Juno era la regina. Famosa quasi quanto i Jupiter, ma più diffusa grazie a un prezzo più basso, la serie Juno di polysynth a sei voci riscuote tutt’oggi il tipo di lealtà e adulazione solitamente riservata ai signori feudali o alle band K-pop. Il primo fu il Juno-6 del 1982 (seguito rapidamente nello stesso anno dal Juno-60 che supportava i preset). Il percorso del segnale era di pura semplicità Roland: oscillatore singolo, highpass non risonante seguito da un lowpass smooth a 24dB/ottava, envelope e LFO singoli e un chorus tuttora amato. Il grande cambiamento riguardava però l’oscillatore: non un VCO ma un DCO, un oscillatore a controllo digitale. Inserendo un chip nel circuito dell’oscillatore per controllare con precisione la frequenza, il suono ottenuto era pulito ed estremamente stabile.
Roland rilasciò altri strumenti con il nome Juno nel corso degli anni ’80, come il Juno-106 con supporto MIDI, gli Alpha Juno 1 e 2 (entrambi del 1985) e l’MKS-7 Super Quartet (1986), che aveva tre sezioni di synth simili al Juno-106 e suoni di batteria TR-707.
SH-101, MC-202, TB-303: i numeri storici di Roland
Per i produttori di musica dance, pochi strumenti fanno salire il battito cardiaco come le triplette numeriche, le macchine x0x, che la Roland ha rilasciato negli anni ’80. Dato che ci stiamo concentrando sui sintetizzatori e non sulle drum machine, salteremo i numeri più alti (scusate 606, 707, 808 e 909) e passeremo direttamente all’SH-101.
Forse ricorderete che il primo sintetizzatore Roland è stato l’SH-1000. Il nome SH è un nome di riferimento per Roland, che continua ancora oggi. Uno dei più famosi è l’SH-101, un monosynth del 1982 che fu popolare prima tra i synth-poppers e poi tra i techno heads. Piccolo e di plastica, realizzato in diversi colori divertenti (collezionali tutti!), l’SH-101 è il tipo di strumento che suona molto meglio di quanto dovrebbe. La semplicità del percorso del segnale (singolo oscillatore VCO, solito filtro, singolo VCA e LFO) gioca a suo favore, dando vita a un suono pulito ma potente. Grazie al sub-oscillatore e al sequencer digitale integrato, è particolarmente utile nel reparto dei bassi.
A proposito di sequencer, nel 1983 Roland levò la tastiera a un SH-101, aggiunse alcuni tasti simili a quelli della Casio e lo chiamò MC-202. Sebbene non fosse così popolare come il 101, se vi serviva un acid box in più, potevate trovare di molto peggio.
Tutti hanno bisogno di una 303
A proposito di acid. Pochi fallimenti hanno avuto successo come la TB-303. Presentato per la prima volta nel 1981 e dismesso pochi anni dopo, questo mini monosynth/sequencer era notoriamente destinato a essere utilizzato come accompagnamento per le bassline dei chitarristi che si esercitavano (idealmente abbinato alla drum machine TR-606). Tuttavia, è ancora più famoso per essere stato adottato dai produttori di musica dance di Chicago in cerca di gear a basso costo. Agendo sul suo suono modificabile in modi talvolta ridicoli e sulle stranezze del sequencer dotato di feature slide/accent, divenne il perfetto generatore di bassline psichedeliche.
D-50 e JD-800: L’era della Sintesi LA
Come non ha mai cantato Olivia Newton-John, “Let’s get digital!”. Il DX7 di Yamaha cambiò tutto con la sua sintesi FM e gli altri produttori si trovarono a dover fare i salti mortali, facendo lavorare i loro reparti di ricerca e sviluppo per trovare qualcosa che potesse competere. Per Roland, la risposta si trovava su una strada digitale diversa da quella della Yamaha: il suono campionato.
Alla fine degli anni ’80 il campionamento non era una novità. Fairlight aveva ottenuto il primo grande successo di campionamento con il suo CMI nel 1979 e la stessa Roland aveva debuttato con il suo primo campionatore, l’S-50, nel 1986. L’azienda prese questo know-how, lo combinò con un nascente tipo di analogico virtuale per creare la Sintesi Lineare Aritmetica (LA) e la inserì nel D-50 del 1987. Questa macchina elegante e nera era in grado di creare suoni nuovi e inediti con un realismo impressionante. La chiave era l’attacco del suono, ottenuto grazie a un breve sample PCM. Il successo fu enorme e fece saltare in aria i tentativi di Yamaha con la FM, stabilendo una nuova era nella storia di Roland.
Negli anni successivi Roland continuò a perfezionare la sintesi LA, che vide il suo apice con il JD-800. Progettato da ingegneri desiderosi di riportare il controllo real-time, il JD-800 del 1991 era ricoperto di slider. Completamente digitale, presentava una combinazione simile di sample transienti e sintesi VA che si potevano impilare fino a quattro layer (o suonare separatamente via MIDI). Disponeva inoltre di una sezione multieffetto piuttosto completa per l’epoca. Tuttavia, a parte alcuni grandi musicisti e produttori, il prezzo elevato ha tenuto lontano molti musicisti.
JP-8000: nessuno l’aveva visto arrivare
Roland continuò a fare progressi nel campo dei sample e della sintesi, con la serie JV particolarmente apprezzata. Tuttavia, nel 1997, nel bel mezzo dell’era del PCM, l’azienda rilasciò uno strumento che ebbe un impatto inaspettatamente grande: il JP-8000. È facile giudicare a posteriori, dal nostro punto di vista del 21° secolo possiamo capire il perché il JP-8000 fosse atteso da molto tempo. Con la musica dance feticista dell’analogico che diventava sempre più mainstream e la tecnologia di modellazione fisica che portava direttamente alla sintesi analogica virtuale, i tempi erano propizi per una versione più digitale della sintesi vintage-style.
Con filtri multimodali da 12 e 24 dB/ottava (ovviamente digitali), chorus e delay (anch’essi digitali) e un’ampia gamma di controlli, questo synth era perfettamente adatto alla situazione, ma è stata una delle sue forme d’onda digitali, la Super Saw, a rendere il JP-8000 uno strumento indispensabile per i produttori di musica trance e di altri generi di musica dance big-room. Ottenuta impilando onde a dente di sega leggermente fuori tune, arrivava come un pugno in faccia ed è diventata un suono-standard a tutti gli effetti.
Aira, Boutique e ZEN-Core: Aggiornare, miniaturizzare e digitalizzare la storia della Roland
Come per altri produttori, gran parte della produzione moderna di Roland ruota attorno alla reinterpretazione moderna di strumenti vintage. Questo ha visto l’azienda prendere molti dei suoi classici, come il TB-303, e riproporli sia nella gamma Aira, incentrata sulla musica dance, sia nella lineup miniaturizzata Boutique. I puristi dell’analogico non possono che lamentarsi di questa reinvenzione digitale, che però non sembra aver danneggiato i profitti dell’azienda.
Roland ha anche abbracciato il mondo dei plugin, convertendo molti dei suoi strumenti più famosi in softsynth da utilizzare nelle DAW. Questa linea comprende ora anche Zenology, un plugin originale che fa parte di quello che Roland chiama ZEN-Core, un ecosistema di sintesi che comprende software e hardware che vanno dal Jupiter-X e il Jupiter-Xm, il Juno-X, la linea Fantom, l’MC-101 e l’MC-707 e altri ancora.
Il più recente synth Roland, l’SH-4d del 2023, continua la linea SH 50 anni dopo il suo debutto. Con le emulazioni degli oscillatori del Juno-106 e dell’SH-101, con i sample PCM tratti dalle serie JV e XV, nonché con i nuovi motori virtuali analogici, l’FM e le wavetable, racchiude un po’ tutto la storia del synth Roland, passato, presente e futuro.
Avremmo voluto trattare molta più storia della Roland, ma con un numero così elevato di uscite, non c’è stato modo di coprire tutto. Quale dei vostri sintetizzatori Roland preferiti abbiamo omesso? Fatecelo sapere nei commenti!
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